Presentazione del blog

"Canta pure, Grillo mio, come ti pare e piace [...] se rimango qui, avverrà a me quel che avviene a tutti gli altri ragazzi, vale a dire mi manderanno a scuola, e per amore o per forza mi toccherà studiare; e io, a dirtela in confidenza, di studiare non ne ho punto voglia e mi diverto di più a correre dietro alle farfalle e a salire su per gli alberi a prendere gli uccellini di nido" (tratto da Collodi C., Le avventure di Pinocchio, p. 16)

giovedì 9 dicembre 2010

Aneddoti e paradossi

[Arriva una povera donna stralunata, perché quel giorno era già stata in altre quattordici classi a insegnare arte. Entrava di corsa, con il cappellino di sghimbescio e, diceva: <<Buongiorno, bambini. Oggi disegneremo un albero>>. E tutti i bambini dicevano: <<Magnifico, disegneremo un albero!>>. E poi lei prendeva una matita verde e disegnava un grande coso verde. Ci aggiungeva una base marrone e qualche filo d’erba. E diceva: <<Ecco l’albero>>. Tutti i bambini lo guardavano e dicevano: <<Non è un albero. E’ un lecca- lecca>>. Ma lei sosteneva che era un albero; distribuiva i fogli e diceva: <<Disegnate un albero>>, diceva <<Disegnate il mio albero>>. E quanto prima capivate che cosa intendeva e riuscivate a riprodurre quel lecca- lecca e a consegnarle il foglio, tanto prima ottenevate 10. Ma c’era un bambino che sapeva che quello non era un albero, perché aveva visto un albero che l’insegnante d’arte non immaginava neppure. Era caduto da un albero, aveva intagliato un albero, aveva fiutato l’odore di un albero, s’era seduto sul ramo di un albero, aveva ascoltato il vento soffiare tra le foglie di un albero e, sapeva che l’albero dell’insegnante era un lecca- lecca. Perciò prese i pastelli rosso magenta e arancione e azzurro e violaceo e verde e, scarabocchiò allegramente il foglio e lo consegnò tutto soddisfatto. L’insegnante lo guardò e disse: <<Oh, mio Dio, è un ritardato mentale … Classe differenziale>>] (tratto da Buscaglia L., Vivere, amare, capirsi, pp. 23-24).
E’ sorprendente rendersi conto di quanto sia importante, per essere considerati ottimi alunni, ripetere, ripetere e ripetere come un pappagallo parola per parola, quanto esposto dall’insegnante. Ma tanto più il bambino è bravo (ripetendo passivamente) tanto più non conosce. Una didattica preconfezionata che “imbocca” gli alunni con contenuti didattici/ apprendimenti “precotti” forma bambini che avranno successo scolastico, ma che non saranno in grado, in futuro, di utilizzare in modo creativo quanto appreso a scuola.

“[…] Aveva comunque sempre paura della scuola, il luogo delle sue quotidiane sconfitte, paura dei maestri che si rivolgevano benevoli alla sua coscienza, o che invece gli rovesciavano addosso le loro arrabbiature […]. La scuola gli era sempre apparsa come una prigione, una punizione interminabile […]. Una penitenza che doveva semplicemente subire, muto e rassegnato” (tratto da Ende M., La storia infinita, p. 14).
Non solo nella realtà ma anche e soprattutto nella letteratura la scuola viene presentata come una prigione, una punizione, come appare dallo stralcio tratto da “La storia infinita” di Michael Ende. Si tratta di un vero e proprio paradosso, in quanto la scuola dovrebbe essere uno dei luoghi più allegri e gioiosi del mondo, dove la gioia più grande sta nell’imparare. <<Imparare qualcosa è fantastico perché ogni volta che imparate qualcosa, diventate qualcosa di nuovo>> (Buscaglia L., Vivere, amare, capirsi, p. 19).

Aumentare le proprie conoscenze e abilità permette di diventare liberi, di scegliere e decidere del proprio futuro (Giulia).
 
<<Vedete, non si è soltanto un insegnante, si è un essere umano. I bambini riescono ad identificarsi con la gente, con gli esseri umani. Hanno invece molte difficoltà nell’identificarsi con gli insegnanti. Quando incominci a comportanti da insegnante, in un ruolo fisso, ti sorprendi a dire una quantità di cose che non avresti mai voluto dire>>(tratto da Buscaglia L., Vivere, amare, capirsi, p. 19)

3 commenti:

  1. è spaventosamente veritiero ciò che dite.. gli insegnanti, spesso presi dal loro ruolo, perdono il senso di ciò che fanno, rischiando così di entrare in una routiine vuota e insignificante! frasi come "disegnate il MIO albero" o " è come lo risolvo IO la soluzione giusta al problema!" purtroppo sono così presenti nelle scuole che alle volte pensare alla scuola come prigione sembra quasi giustificato.. gli alunni diventano meri esecutori, privi di creatività e ingegno, pronti solo ad essere i migliori nel gioco della mimesi.. di certo non si può sperare in questo contesto un briciolo di qualità, per cui mi verrebbe da dire perché continuiamo a farlo ( e mi ci metto in mezzo anche io) perché continuiamo ad esercitare una forma sterile del nobile mestiere di formatori!?
    non è forse arrivata l'ora di riconoscere che c'è bisogno di un cambiamento radicale del "pensare alla didattica" e del "fare didattica"?

    RispondiElimina
  2. Carissima Melania,
    hai utilizzato le parole giuste, spesso gli insegnanti, presi dal loro ruolo, “perdono il senso di ciò che fanno”. Sembra quasi che le mura scolastiche abbiano degli effetti allucinogeni sugli insegnanti, i quali una volta solcata la soglia che separa l’esterno dalla scuola tendono a dimenticarsi di essere prima di tutto persone. Ancora di più lo stare dalla parte della cattedra, seduti “sul trono”, fa si che gli insegnanti acquistino potere, diventino invincibili, unici detentori del sapere e unici possessori della ragione suprema. Al di là, in periferia, stanno gli scolari, i quali devono essere plasmati dal sapere degli insegnanti. Un sapere unidirezionale, trasmesso in linea retta, dagli insegnanti agli alunni. Questi ultimi saranno considerati bravi solamente se saranno in grado di eseguire a “macchinetta” quanto viene detto loro, altrimenti sono guai!
    I bravi scolari diventano marionette nelle mani del Mangiafuoco di turno, gli altri, i “somari” diventano burattini di legno senza fili o per meglio dire “senza speranza”. La scuola diventa una prigione, un vero e proprio inferno.
    Gli alunni fanno a gara a chi è il più bravo, la cosa più importante è prendere il voto più alto. Il 10 consente di giungere allo status di allievo modello, da imitare in tutto e per tutto. Nella scuola dei numeri il voto diviene la cosa più importante, il premio, la gratificazione conseguente al fare adeguato. Scompare il desiderio e il piacere di fare, l’emozione che si prova nel conoscere, nel far evolvere le proprie competenze. Il non riuscire a prendere un bel voto (in particolar modo non riuscire a prendere 10) viene vissuto come una vera e propria sconfitta.
    Come poter uscire da tutto ciò?
    Cosa fare?
    Aspettare? Ma che cosa???
    “Perché continuiamo ad esercitare una forma sterile del nobile mestiere di formatori!?” Perché è più semplice, perché non richiede alcun impegno, alcuno sforzo. Lo scopo della scuola d’oggi è quello di creare delle persone addomesticate e obbedienti (vedi il metodo ABA, i cui insegnamenti sono finalizzati ad addomesticare la mente). L’insegnante perfetto “è soltanto il risultato di una mediazione tra velleità di innovazione e accettazione di prassi che sembrano le uniche possibili” (Starnone D., Solo se interrogato, p. 76); un insegnante che rimane ancorato alle procedure e agli schemi soliti.
    E’ arrivata l’ora di AGIRE, non occorrono belle parole stampate su fogli bianchi (POF), occorrono azioni sensate, non meri proverbi! Occorrono insegnanti capaci di DARSI DA FARE, di rompere gli schemi, insegnanti che rischiano, insegnanti in grado di produrre i cambiamenti “creando complessità”. E’ necessario formare una didattica complessa e globale, perché nel momento in cui i contenuti vengono separati in compartimenti stagni (didattica frammentata), perdono immediatamente senso. La tendenza a mantenere un percorso parcellizzato, sommatorio e lineare, dal ritenuto più semplice al ritenuto più complesso risulta difficile e incomprensibile. Contrariamente un’organizzazione complessa dei contenuti, dove ogni contenuto è “rappresentato da un insieme articolato e complesso di immagini, colori, schemi, suoni, giochi di parole …” propone degli “appigli” per comprendere, per ricordare. “Si scopre che il definito “facile” non è sinonimo di semplice ed il definito difficile non è sinonimo di complesso; anzi …, SI SCOPRE CHE LA COMPLESSITA’ E’ FACILITANTE GLI APPRENDIMENTI”. (Cuomo N., I modi dell’insegnare: tra il dire e il fare …, tra le buone prassi e le cattive abitudini, p. 112)

    RispondiElimina
  3. non posso che essere, a mio rammarico, d'accordo con voi!
    "I bravi scolari diventano marionette nelle mani del Mangiafuoco di turno, gli altri, i “somari” diventano burattini di legno senza fili o per meglio dire “senza speranza”. La scuola diventa una prigione, un vero e proprio inferno.
    Gli alunni fanno a gara a chi è il più bravo, la cosa più importante è prendere il voto più alto"
    Come darvi torto! il desiderio, la curiosità, la volontà, la spontaneità dello scoprire, del ricercare, del capire sono sconfitti da questo sistema "scuola" che immobilizza le fantasie omologa i pensieri e rende i bambini schiavi di una scala numerica (1 3 o 10, va là meglio 6).
    E noi cosa possiamo fare? io direi che possiamo iniziare ad AGIRE agire anche per loro! iniziamo a costruire una nuova didattica!
    chissà se con un po di fortuna qualcuno inizierà a seguire il nostro esempio!

    RispondiElimina

Il Grillo vi invita a consultare la Bibliografia e Filmografia di riferimento

  • "Figli di un Dio minore" di Randa Haines (1986)
  • "Gli esclusi" di John Cassavetes (1963)
  • "Il ragazzo selvaggio" di Francois Truffau (1969)
  • AAVV. Le buone prassi tra il dichiarato e l'agito. Da tirocinante osservatore a insegnante progettista di sistemi di integrazionee inclusione per il supramento degli handicap e delle difficoltà di apprendimento e di insegnamento, Edizioni AEMOCON, 2009
  • Alice Imola, Le leggi verso le buone prassi dell'integrazione, Edizioni ETS, Pisa, 2008
  • Nicola Cuomo, Verso una scuola dell'Emozione di Conoscere. Il futuro insegnante, insegnante del futuro, Edizioni ETS ,Pisa, 2007